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AttivismoMade in Italy modello di sovranità alimentare europea e di food diplomacy per le relazioni internazionali

28/06/2023
Un’importante conferenza organizzata da Anna Cinzia Bonfrisco per il Gruppo ID è servita a fare il punto sull’agroalimentare italiano e su quanto sia apprezzato all’estero, ma anche quanto debba essere difeso considerando le sfide della sostenibilità. Autorevole il panel di esperti, che comprendeva anche Mirco Carloni, presidente della Commissione agricoltura della Camera dei Deputati

Nel decennio 2012-2022 l’industria alimentare italiana ha mostrato un trend di buona crescita reale, al terzo posto nella graduatoria dei Paesi Ue, mentre l’agricoltura ha vissuto annate sfavorevoli, soprattutto a causa dell’andamento climatico. Il 2022 è stato l’anno più caldo e meno piovoso da quando vengono monitorati i dati relativi. Ciò ha fatto retrocedere l’Italia in terza posizione nella graduatoria Ue della produzione agricola, dopo Francia e Germania (prima era seconda, sempre dopo la Francia). Soprattutto, dal 2021 il nostro Paese ha passato alla Francia il primato del valore aggiunto, mantenuto quasi ininterrottamente nel corso del decennio. È quanto riferisce l’ultimo rapporto dell’Istituto di Servizi per il Mercato agricolo alimentare-Ismea. Tuttavia l’Italia e il Made in Italy detengono comunque vari primati in Europa.

Per descrivere la complessità dell’argomento e presentare al Parlamento europeo gli ospiti del congresso organizzato grazie al gruppo Identità e Democrazia “Made in Italy modello di sovranità alimentare europea e di food diplomacy per le relazioni internazionali”, Anna Cinzia Bonfrisco ha deciso di descrivere un’importante storia del territorio italiano e che ha a che vedere con il grano, una ricchezza e una necessità che si sono manifestati recentemente con la crisi ucraina. «La provincia di Rieti ci aiuta a ricordare la figura di Nazareno Strampelli, agronomo e genetista tra i più importanti del XX secolo, precursore della rivoluzione verde», ha spiegato Bonfrisco. «Strampelli concentrò i suoi studi sull’ibridazione delle specie di frumento, ottenendo colture più resistenti e che donavano una produttività maggiore. Nel 1919 fondò l’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura, nello stesso periodo sorgeva a Roma, su iniziativa di Vittorio Emanuele III, l’Istituto internazionale di agricoltura, prima organizzazione internazionale per la cooperazione agricola che vide la partecipazione di 74 Stati membri, cosa che per l’epoca doveva essere un successo planetario, e che portò poi a ospitare a Roma la sede della Fao, organizzazione delle Nazioni Unite che contrasta la fame nel mondo e del World food program che ne è articolazione per le situazioni di emergenza. Le radici di Roma arrivano lontanissimo e, proprio a Rieti c’è la radice più importante di quella connessione tra sovranità alimentare europea e food diplomacy che oggi siamo qui a celebrare».

Invitato dalla moderatrice Sarina Biraghi, giornalista de “La Verità”, Paolo De Castro, europarlamentare, vicepresidente della commissione Agricoltura e Sviluppo rurale, già ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, ha chiarito che la sovranità alimentare non ha nulla a che vedere con l’autarchia. «È un termine che aveva già introdotto la Francia col primo governo Macron. Non c’è nessuna volontà di bloccare il ruolo che giocano le nostre esportazioni nel settore agroalimentare, anzi noi vogliamo che continuino a crescere. Abbiamo superato i 60 miliardi di export grazie a una valorizzazione delle specificità che il nostro made in Italy rappresenta: non a caso siamo il primo Paese d’Europa per prodotti con indicazione geografica, per un valore che supera i 20 miliardi di euro. L’agroalimentare deve andare al di là delle differenze politiche, quindi ho apprezzato che il ministro Francesco Lollobrigida abbia convocato tutti i passati ministri del governo. Per fare gioco di squadra, per mantenere una linea che ha consentito di arrivare a questi traguardi. Dobbiamo lavorare sulle tutele sul rafforzamento dei sistemi agroalimentari, viviamo una fase difficile perché pressione su transizione economica ci ha meso un po’ in difficoltà. Dobbiamo soltanto capire come affrontare il cambiamento. Stiamo riducendo l’uso della chimica, per esempio, stiamo facendo tanto anche sulle emissioni industriali, visto che riguardano anche la zootecnia industriale».

La senatrice Mara Bizzotto, membro della Commissione Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare del Senato della Repubblica, già europarlamentare. «Si parla molto di sostenibilità in Europa, ma solo di quella ambientale, ma credo si debba difendere la sostenibilità sociale ed economica dell’impresa agricola. È la sfida che il governo italiano deve portare, perché agricoltura viene ritenuto un settore inquinante, invece ha costruito l’ambiente. L’agricoltore è un custode dell’ambiente, come abbiamo approvato al Senato. 4 milioni di addetti e un milione di imprese. Europa mette sotto accusa agricoltura e dice che bisogna andare verso il cibo sintetico che inquinerebbe meno, ma così non è. Il governo sta mandando un messaggio politico importante, stiamo approvando un ddl che difende il made in Italy dell’agroalimentare».

Paolo Giordani, presidente dell’Istituto diplomatico internazionale, ha spiegato come la diplomazia alimentare, lo stare a tavola, sia alla base di ogni trattativa di diplomazia informale.

Nino Scivoletto, direttore del Consorzio di tutela cioccolato di Modica IGP, unica tipologia di cioccolato tutelata a livello comunitario, ha affermato che i primati dell’agroalimentare italiano sono figli di un modo tutto italiano di approcciarsi: nel 2010 proprio con De Castro ha messo in campo una strategia per far riconoscere e tutelare il cioccolato di Modica, scavando negli archivi storici della famiglia Grimaldi per recuperare i maestri artigiani che nel 1746 già facevano il cioccolato, importandoli dal Centro America. Il consorzio del cioccolato di Modica è poi diventato punto di riferimento internazionale per le pratiche di uso e consumo del cioccolato.

Elena Maria Sallusto, membro del consiglio direttivo della Camera di commercio italo-greca di Salonicco e board member di Eurogenetica Sa, ha riferito di quanto sia apprezzato il made in Italy in Grecia, non solo dal punto di vista gastronomico, sia per i buoni rapporti storici tra i due paesi sia per la qualità delle iniziative di coloro che promuovono il made in Italy in Grecia. Ha poi offerto il suo punto di vista sulla sovranità alimentare «che privilegia l’economia e i mercati locali, l’agricoltura famigliare, la pesca e l’allevamento tradizionale, così come la produzione, la distribuzione e il consumo di alimenti basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. La sovranità alimentare a difesa del made in Italy non è contro la cultura multietnica del cibo, possiamo dire che è un occhio di riguardo alla produzione nazionale, per promuovere la trasparenza del commercio che garantisca guadagni adeguati per tutti i popoli insieme ai diritti dei consumatori di controllare la propria alimentazione e nutrizione».

Leonardo Pofferi, direttore dell’Ufficio di Confcooperative a Bruxelles, ha citato i 35 miliardi di fatturato aggregato, oltre un quarto della produzione nazionale che rappresentano la dimensione della cooperazione agroalimentare. «Durante il lock-down chi ha garantito i prodotti sui banchi dei mercati è stata tutta la filiera dell’agroalimentare. Ci era parso che quella fosse un’occasione per riprendere iniziative mai concretizzate come un grande piano per le proteine vegetali, per ridurre dipendenza dagli Stati Uniti e dal Sud America. Oggi andiamo verso una visione diametralmente opposta in termini di sovranità alimentare, quindi l’Europa deve correggere la rotta: il Green deal senza la permanenza dell’uomo si riduce a un giardino e non credo sia questo che vogliamo. Grandi accordi commerciali: questa legislatura è stata meno prolifica rispetto alla precedente, però credo che il patrimonio delle nostre produzioni di qualità è un’arma che dobbiamo portare su tutti i mercati internazionali, quindi con la dovuta attenzione, ribadiamo che siamo fautori di questo processo e sia da perseguire l’apertura dei mercati».

Luigi Ulgiati, membro del Comitato economico e sociale europeo, vice segretario generale dell’Unione generale del lavoro, ha ricordato che il cibo è un diritto ed è tutelato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, perciò dovrebbe essere garantito a tutti l’accesso alle risorse per sfamarsi eliminando l’insicurezza alimentare. «Nella plenaria del Cesis, a giugno del 2023 abbiamo approvato un parere per promuovere un consiglio europeo per la politica alimentare, considerando la vera e propria crisi alimentare che ha portato la guerra in Ucraina. Potrebbe contribuire a un approccio più integrato, partecipato e allineato all’elaborazione delle politiche alimentari a livello europeo, nazionale e locale, migliorando la legittimità della politica alimentare, promuovendo anche uno sviluppo più sostenibile ed equilibrato».

Anna Cinzia Bonfrisco ha ricordato come senza la salvaguardia e l’azione dell’uomo, il Green al massimo potrà essere un giardino, invece occorre conciliare la sostenibilità con l’economia e il sociale.

Tonj Ortoleva, direttore di “Latina Oggi” e “Ciociaria Oggi”, ha introdotto il secondo panel “Le Sfide Climatiche per l’Agricoltura e la Cooperazione Europea” e il deputato Mirco Carloni, presidente della Commissione agricoltura della Camera dei Deputati che ha fatto il punto sui provvedimenti legislativi rispetto ai temi del convegno. «Sulla pesca e l’etichettatura dei vini la commissione si è espressa all’unanimità in modo contrario a proposte che il Parlamento europeo ha ricevuto dalla Commissione europea. C’è una visione diversa del concetto di sostenibilità che è un tema persino abusato: la sostenibilità che noi riteniamo utile al futuro del mondo agricolo italiano ed europeo in generale è quello che tiene insieme l’uomo e la sua dimensione agricola. L’impresa agricola che noi condividiamo forse con altri Paesi del Mediterraneo ha la difficoltà di farsi misurare e avere una standardizzazione così come magari nelle politiche europee si vorrebbe fare. Stiamo lavorando su una legge quadro sul ruolo da promuovere del giovane imprenditore agricolo, perché la Politica agricola comune ha previsto un aiuto talvolta un po’ assistenzialistico al primo insediamento per i giovani under 40, ma poi le imprese vengono lasciate da sole. Le regole che l’Europa mette per la valutazione del merito creditizio non tengono conto di aziende che hanno spesso bilanci sacrificati. Abbiamo previsto una defiscalizzazione per l’acquisto di attrezzature, per la formazione, per il trasferimento tecnologico: vorremmo, cioè, fare in modo che l’imprenditore agricolo, specialmente se giovane, sia compatibile con la visione dell’Italia, ma anche dell’Europa. E che sia anche socialmente accettato. Da parte dell’Europa devo sottolineare che ultimamente il concetto di sostenibilità è legato con la diminuzione dell’impatto dell’uomo sulla natura e questo non favorisce l’ambiente, quanto piuttosto la produzione in altri continenti di prodotti alimentari che vengono poi esportati anche ai nostri consumatori con danni irreparabili ai nostri produttori primari. Pensiamo alla pesca, con unico voto contrario dell’Italia, anche lì la sostenibilità proposta si limita a diminuire lo sforzo di pesca, ma non c’è nessuna tutela per i nostri mercati. Pare che la sostenibilità serva più per introdurre vincoli e sanzioni, con gravi danni al sistema primario, con il rischio di privilegiare alcuni prodotti industriali rispetto a quelli agricoli che possono sembrare più sani per il minor impatto ambientale».

Marco Campomenosi, capo delegazione della Lega al parlamento europeo, membro della Commissione commercio internazionale. «Rilevo una certa opacità sull’origine dei prodotti: questo vale per l’olio d’oliva per quelli che contengono farina, in un equilibrio non facile da trovare tra chi produce il vero made in Italy e chi sostiene che non contano i prodotti primari, ma il saper fare italiano. Ai rappresentanti di questa industria dico che mi farebbe piacere che mia madre al supermercato potesse riconoscere la provenienza degli ingredienti. Invece c’è un gioco in questo: se avrete modo in questi giorni di entrare in un supermercato belga troverete tanti prodotti che sembrano italiani e voi lo capirete. Ma mettetevi nei panni del consumatore nordeuropeo che ha molti meno strumenti per riconoscerlo, così come magari noi abbiamo prodotti che simulano di essere nordeuropei. Anche questo avviene, magari meno. Un tema che non abbiamo citato, e il clima c’entra molto, è quello dell’acqua: la mia regione che è la Liguria deve versare dalle sue montagne l’acqua per l’agricoltura di altre regioni italiane: bisogna cominciare a ragionare per avere un utilizzo più virtuoso delle risorse. La sostenibilità può essere elemento che ci aiuta a riflettere e a lavorare meglio: conosco, per esempio, aziende che producono basilico per il pesto che consumano e non sprecano, anzi riciclano in un’economia circolare ogni goccia d’acqua utilizzata. I risultati sono eccezionali: è quell’agricoltura tradizionale che con un po’ di innovazione giusta e magari qualche fondo europeo, fa qualche passo in più. Un altro errore in cui non dobbiamo cadere è quello delle battaglie di retroguardia: dobbiamo essere aperti alle sfide, per esempio, valutare con attenzione anche da italiani, qual è il bilancio rispetto ad accordi commerciali che in questa legislatura stiamo portando a conclusione come quello con il Mercosur, cioè i Paesi del Sud America. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un dilemma: per la nostra industria manifatturiera grandi aperture di mercato, per le nostre aziende agricole grandi timori per l’arrivo di carne e altro. Il bilancio è semplicissimo: ci conviene firmare quest’accordo perché è molto di più il vantaggio economico rispetto alla perdita sul terreno dell’agricoltura. Servirebbe che il governo italiano chieda e promuova un interesse da parte della commissione europea affinché da un lato il consumatore sappia riconoscere l’origine di un prodotto e dall’altro sappia riconoscere anche le differenze di prezzo e di filiera. Il Nutriscore è il sistema semaforo che rischia di rendere complessa la vita di certi prodotti dell’agroalimentare italiano, ma anche francese, che tiene conto di soli tre elementi, cioè sale, zuccheri e grassi: l’industria può ovviare a queste limitazioni, contrariamente ai prodotti tradizionali. C’è l’accordo con i Paesi asiatici sul riso e l’Italia produce la metà del riso europea, un po’ con spagnoli, francesi e greci, a difendere quel tipo di prodotto sui mercati. L’accordo commerciale Ue-Marocco, purtroppo sta dimostrando che non serve a sviluppare un’industria o una capacità agricola locale, ma piuttosto favorisce l’investimento di grandi imprese francesi e spagnole, a scapito dei piccoli produttori locali. Servirebbero invece accordi per sviluppare agricoltura di qualità in loco».

Cristiano Fini, presidente Confederazione Agricoltori Italiani, ha affermato che le sfide climatiche stanno compromettendo diverse produzioni a diverse Paesi tra i quali proprio l’Italia. «Dobbiamo mettere a disposizione degli agricoltori l’innovazione, per esempio sistemi di biocontrollo certamente, ma abbiamo bisogno di strumenti di maggiore prospettiva e di una grossa spinta europea per le tecnologie di evoluzione assistita, che Cia caldeggia e non sono assolutamente comparabili agli ogm che invece non abbiamo mai considerato utili. Le Tea, che consistono in interventi mirati di modifica del Dna, possono dare un aiuto, senza fare miracoli, rendendo più resiliente l’agricoltura rispetto alla siccità e all’utilizzo di fitofarmaci, essendo rispettose dell’ambiente, perché anche noi agricoltori dobbiamo fare la nostra parte per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Questo va fatto sulle produzioni vegetali, ma anche su quelle animali: dovremo cercare di ridurre le emissioni, ma la direttiva europea non ci pare la strada giusta da intraprendere. Dobbiamo mettere in campo strumenti utili per rendere l’agricoltura sostenibile dal punto di vista ambientale, ma anche economico. Dobbiamo avere alternative ai fitofarmaci per combattere alcune malattie, portare a termine produzioni e avere rese soddisfacenti. Dobbiamo accettare la sfida climatica con la scienza, la tecnologia, ma anche la politica».

Valerio Valla, professionista che si occupa di fondi strutturali europei tra commissione e parlamento, si è concentrato sugli aspetti della programmazione Ue 2023-2027: ci sono 387 miliardi di euro per la Pac, circa 10% appannaggio dell’Italia, i fondi Pnrr e quelli diretti della Commissione europea, per esempio il progetto Horizon in cui il settore dell’agroindustria è privilegiato. «Abbiamo parlamentari europei importanti, un sistema Italia che funziona e lavora in sintonia, ci sono risorse, dunque occorre puntare su pochi progetti innovativi».

Fabrizio Santori, consigliere e segretario d’Aula dell’Assemblea capitolina, responsabile Dipartimento agricoltura Lega – Salvini Premier, ha rilevato come gli agricoltori abbiano subito aumenti indiscriminati dei costi per l’approvvigionamento dell’energia, per il covid, la guerra in Ucraina, le tensioni internazionali e la loro difficoltà stia nella gestione dell’azienda. «Per questo mi sono impegnato per formare gli agricoltori nella vendita dei loro prodotti, perché la sostenibilità aziendale viene prima di quella ambientale». Ha poi enunciato tre proposte per aiutare l’agricoltura: 1. Recupero di tanti terreni abbandonati, pensando a Roma per esempio che è la più grande provincia agricola d’Europa; 2. Formazione per stare sul mercato, per essere imprenditori; 3. Ampliare il raggio d’azione dell’autorità per la sicurezza alimentare a ricomprendere il profilo delle sovranità alimentare».

Cinzia Pagni, presidente di ASeS – Agricoltori, Solidarietà e Sviluppo, organizzazione no-profit della Cia, che si occupa di cooperazione internazionale combinando formazione, informazione e azioni di sanità per donne e giovani in Mozambico, Senegal e Paraguay. «Quando parliamo di cibo, salute, sicurezza alimentare e cambiamenti climatici in questi Paesi così fragili, dobbiamo affiancare e fornire gli strumenti più idonei per potersi riscattare con l’autoimpiego e l’indipendenza. Dobbiamo investire in maniera continuativa e sinergica per affiancare lo sviluppo di questi Paesi».

Anna Bicego, dell’associazione Italiainnova che ha recentemente modificato il proprio statuto per accogliere i 17 goal dell’agenda 2030, ha citato Edgar Morin: “quello che manca a noi è la coscienza di essere figli e cittadini della terra patria, non riusciamo ancora a riconoscerla come casa comune dell’umanità”. «Partendo da questo sarebbe importante risolvere questa dicotomia: noi siamo la natura, siamo l’ambiente. L’impresa agricola deve essere resiliente, sostenibile, soprattutto equa e giusta. Ci rifacciamo a uno studio recente di Slowfood che sostiene l’approccio One earth e sosteniamo l’agroecologia ossia le filiere corte, a favore delle piccole imprese e delle tradizioni che fanno grande i nostri prodotti agricoli, enogastronomici e non solo, intendiamo migliorare il rapporto tra consumatore e agricoltore e promuovere una cultura alimentare che minimizzi gli sprechi. Speriamo che anche l’Europa si faccia parte attiva per promuovere una politica alimentare comune e un approccio globale che possa diventare un riferimento a livello mondiale».

Roberto Berutti, membro del Gabinetto del Commissario europeo all’Agricoltura ha ammesso che l’Europa viene spesso giudicata arcigna, rigida e impositiva nei confronti dell’agricoltura italiana. «In realtà, non sempre questo è vero: la strategia farm to fork insieme con quella biodiversity avevano iniziato a tratteggiare una serie di target fin dall’inizio definiti ambiziosi dalla Commissione, ma questa è fatta di molte anime. Come membro del Gabinetto del Commissario europeo all’Agricoltura ci siamo adoperati per sostenere e difendere l’agricoltura e il io commissario, pur essendo polacco, è un estimatore dell’agricoltura italiana e la porta sempre come esempio virtuoso sia in Europa sia nel mondo. Lui afferma che l’agricoltura italiana produce reddito quanto quella francese, però quasi sulla metà del terreno coltivato, grazie all’eccellenza delle produzioni. Quello che stiamo cercando di fare da un lato è, attraverso i fondi Horizon, costituire una serie di 100 laboratori viventi su tutto il territorio europeo per verificare la salvaguardia dell’ambiente, la riduzione dell’uso della chimica, l’ottimizzazione dell’uso dell’acqua, per intervenire chirurgicamente: non si può intervenire orizzontalmente, ma bisogna dare differenti medicine, verifichiamo le necessità. L’Italia è un’eccellenza in molti campi e l’agricoltura è uno dei primi, in Commissione ci sono alleati, quindi stiamo arrivando a un compromesso virtuoso».

Filippo Pozzi, Political advisor presso il Parlamento europeo ha riassunto le conclusioni dell’importante convegno. «Intanto devo dire che il sistema Italia ha imparato a sostenere il made in Italy. Un contesto pensato per gli agricoltori che si chiama politica agricola comune e anche molto capiente di denari tanti anni fa, negli ultimi anni è stato in qualche modo riconvertito. Questo testo pensato per gli agricoltori l’Europa l’ha calato sul bene pubblico, svincolando il produttore agricolo dal consumatore. Spesso la Commissione si è concentrata più sul consumatore. Questa parte ci vede impegnati in questo scorcio finale di legislatura e su questa serve consapevolezza perché il Paese è capace di offrire un metodo sulla sostenibilità, ma se perde tempo a difendersi dai luoghi comuni e dagli attacchi, dalle crociate, dai cibi finti, avrà sempre meno attenzione e tempo per promuovere le capacità che sa già mettere in campo. Noi siamo già sugli orizzonti che a Bruxelles vorrebbero tracciare: dobbiamo riuscire a spiegarlo. Chiediamo al pubblico di avere consapevolezza: se hanno un’esigenza sull’alimentazione, la difficoltà di scegliere un prodotto sullo scaffale, se lo chiedono prima agli agricoltori, il prodotto che risponde all’esigenza esiste. Certo non siamo quelli che possono offrire soluzioni globali perché noi abbiamo valore e ci distinguiamo».

L’europarlamentare Anna Cinzia Bonfrisco, organizzatrice dell’importante dibattito, ha concluso ringraziando tutti i relatori. Ha tenuto a ringraziare con un abbraccio Sara Principessa, Roberta Cuneo, Sara Norcia e Daniela Ballico per il lavoro che fanno sul territorio e che contribuisce alla grande scommessa della Lega di migliorare l’Europa e renderla più vicina ai popoli e alla democrazia dei cittadini che chiedono di rappresentarli al meglio.

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