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Dignità umanaBruxelles e Roma insieme per il giorno della memoria

23/02/2024
Una commemorazione del giorno della memoria con un panel di relatori di altissimo livello ad ascoltare, la drammatica storia del centenario Abramo Rossi, internato militare italiano sopravvissuto ai campi di internamento nazisti. Interventi di Antonio López-Istúriz White, Marco Patricelli, Ruben Della Rocca, Fiamma Nirenstein, Noemi Di Segni, Pasquale Angelosanto

Il 25 gennaio Anna Cinzia Bonfrisco ha organizzato una commemorazione delle vittime dell’Olocausto con la partecipazione speciale di Abramo Rossi, sottotenente “a titolo onorifico” dell’Arma dei Carabinieri, internato militare italiano sopravvissuto ai campi di internamento nazisti. L’evento che ha anticipato il giorno della memoria del 27, si è svolto dalla sede del Parlamento europeo e della Commissione Europea in Roma. «Questa è la casa dei popoli europei, porta il nome di Esperienza Europa-David Sassoli, in ricordo del compianto presidente del Parlamento europeo», ha esordito Bonfrisco. «Voglio iniziare raccontandovi con emozione l’ultimo incontro con Sassoli avvenuto a Bruxelles, Ci siamo seduti, un po’ appartati per avere tranquillità, poco lontani dall’aula della Plenaria insieme a Liliana Segre, per condividere un momento di riflessione, dopo che si era conclusa la solenne cerimonia di commemorazione delle vittime dell’Olocausto il 29 gennaio del 2020 e che ha visto la testimonianza speciale della senatrice a vita Liliana Segre. Quell’anno, la commemorazione solenne del Parlamento europeo è stata dedicata al 75esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz e Liliana Segre ricordò l’assoluta disumanità dei campi e delle “Marce della morte” organizzate dai nazisti nel 1945, alle quali ella sopravvisse a differenza di molti altri bambini, ragazzi, uomini e donne. “La loro unica colpa era quella di essere nati”, ci ricordò la Segre. Insieme a David Sassoli, la commemorazione sottolineò l’inviolabilità della dignità di ogni persona e il dovere degli europei di lottare contro l’antisemitismo, il razzismo e la discriminazione.

«Quell’anno segnò anche un altro passo importante degli europei nello strutturare la lotta contro l’antisemitismo: il Consiglio dell’Unione europea adottò la dichiarazione sull’integrazione della lotta contro l’antisemitismo in tutti i settori d’intervento, trasponendo nella politica dell’Unione il concetto che l’antisemitismo è un attacco ai valori europei, che tutti gli Stati membri hanno il solenne impegno di proteggere le comunità e le istituzioni ebraiche e che la vita degli ebrei va protetta e lo stile di vita ebraico deve essere reso più visibile in quanto parte dell’identità europea».

Ha voluto porgere un saluto anche il padrone di casa Carlo Corazza, direttore dell’Ufficio del Parlamento europeo in Italia. «Nella frase della prima donna presidente del Parlamento europeo, Simone Veil, “auspico che si formi un’Europa unita a condizione di non dimenticare”, c’è il nesso, il legame indissolubile tra la nascita della nostra Unione e il ricordo dell’Olocausto. La presa di coscienza dell’abisso di orrore e di negazione dell’essenza stessa della nostra umanità in cui è precipitata l’Europa, su cui noi abbiamo ricostruito la nostra rinascita, mettendo al centro la persona e impegnandoci a difendere la sua libertà e la sua dignità. Dimenticare l’Olocausto sarebbe dimenticare le ragioni stesse per cui oggi stiamo ancora insieme dopo 70 anni. Oggi più che mai, dopo il 7 ottobre, stare al fianco di Israele significa difendere la nostra libertà e la nostra sicurezza. L’attuale presidente del Parlamento, Roberta Metsola, ha dichiarato che questo parlamento non è indifferente, è schierato. È in prima linea nella lotta contro l’antisemitismo, l’odio, il negazionismo e la disinformazione. Irene Shashar, nel corso della seduta solenne in cui il Parlamento europeo ha commemorato lo sterminio degli ebrei, ha chiesto il sostegno per la liberazione degli ostaggi e naturalmente il parlamento europeo lo dà al 100%. Ha però ricordato che il 7 ottobre segna la rinascita dell’antisemitismo. “Gli ebrei ancora una volta non si sentono al sicuro in Europa”, cito. “Dopo l’Olocausto, questo dovrebbe essere inaccettabile. ‘Mai più’ dovrebbe significare mai più”. Il 18 gennaio scorso il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria una risoluzione in cui chiede il rilascio immediato di tutti gli ostaggi, il rispetto dei loro diritti e della loro dignità conformemente al diritto internazionale. E condanna questi crimini come contro l’umanità, così come gli attacchi terroristici brutali di Hamas. Auspico che l’Unione sia più protagonista con riforme che non sono più rinviabili per dare con forza il suo sostegno a Israele e anche a una soluzione che permetta la convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi».

«Quest’anno la nostra commemorazione delle vittime dell’Olocausto vuole trovare uno spazio per raccontare una storia poco conosciuta e divulgata», ha ripreso Bonfrisco dando la parola ad Abramo Rossi, «che si è svolta qui a Roma e che ci aiuta a capire i momenti della guerra, dell’occupazione, della discriminazione, della ghettizzazione, della deportazione, della paura, dell’umiliazione e del male inflitto alla dignità umana».

«Sto per compiere 100 anni, ma è ancora vivo in me il ricordo della mia prigionia durante la Seconda guerra mondiale», ha cominciato Rossi, nato in Abruzzo a Colonnella (Teramo) e residente a Pescara. Raccontando poi della deportazione come prigioniero di guerra insieme ad altri allievi carabinieri in carri bestiame a Trofajach, regione della Stiria in Austria. Poi le durissime condizioni di vita e di lavoro forzato, la possibilità rifiutata di aderire Repubblica di Salò o di essere inquadrati nelle truppe tedesche. Al ritorno in Italia il gesto fu riconosciuto come un atto di resistenza passiva e l’ha autorizzato a fregiarsi del titolo di “Volontario della libertà”.

«Dopo la guerra, ripresi il mio lavoro di carabiniere: c’era da ricostruire un’intera nazione e una grande gioia di vivere per la fine della dittatura, dell’occupazione, della guerra, della nostra prigionia! Ringrazio Dio che ha voluto che tornassi sano e salvo, ricordo con tristezza i miei colleghi deceduti e tante altre persone che direttamente o indirettamente persero la vita in quei duri anni della Seconda Guerra Mondiale. Io e altri militari siamo stati insigniti della Medaglia d’onore personale perché “catturati, deportati e internati nei lager nazisti dal 1943 al 45”. È stata per me una grande emozione riceverla dal nostro Presidente Napolitano. Vorrei ricordare anche i tanti colleghi carabinieri che catturati a Roma, non a caso nove giorni prima della deportazione degli ebrei di Roma del 16 ottobre, non fecero più ritorno: il loro ricordo è affidato anche alle “pietre d’inciampo” dell’artista tedesco Gunter Demnig, poste all’ingresso della Caserma “Carlo Alberto Dalla Chiesa”, nel 2010. Ai giovani dico di rispettare le leggi, di essere solidali con i più deboli, di fare tesoro degli insegnamenti dei loro cari, di studiare molto, di avere la mente aperta al futuro, ma anche di custodire la memoria del passato e di ciò che noi anziani abbiamo ottenuto per loro, a costo di enormi sacrifici: la libertà, la democrazia, la Costituzione».

Da Bruxelles è poi seguito il messaggio del deputato europeo Antonio López-Istúriz White, presidente della Delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con Israele, di cui è componente Bonfrisco. Egli riveste un ruolo politico fondamentale per le relazioni di amicizia e di cooperazione tra l’Unione europea e Israele, ed è sempre in prima linea nella lotta contro l’antisemitismo e nell’impegno a favore della tolleranza.

«Purtroppo ancora oggi, in Europa e nel mondo, assistiamo ad azioni antisemite, narrazioni antisemite e che negano l’Olocausto. Questo è inaccettabile», ha detto López-Istúriz White. «Mai più nella storia dell’umanità deve ripetersi quanto accaduto con la Shoah. Cosa possiamo fare e cosa dobbiamo continuare a fare? L’istruzione e il ricordo sono fondamentali. Quello che è più importante per me è combattere l’antisemitismo e realizzare una vera cultura della tolleranza tra i popoli. Oggi più che mai. E l’istruzione ha un ruolo fondamentale. Il ruolo degli educatori è fondamentale, siano essi maestri di scuole, analisti di think tank, professori di università prestigiose, donne e uomini di cultura o di fede. Il potere delle parole è utile per ricordare alle nuove generazioni cos’era l’Olocausto. Utilizzeremo anche le tecnologie del digitale più avanzate per educare e raccontare la verità dell’Olocausto. Non tollereremo mai più slogan antisemiti e azioni antisemite: l’Unione europea e il particolare il Parlamento europeo hanno ben chiaro questo solenne impegno. Noi parlamentari europei siamo componenti responsabili della comunità internazionale e denunciamo con forza l’incitamento all’odio, in ogni sua forma. E siamo coscienti che solo una vera consapevolezza di questo terribile momento del nostro passato rappresenti il vero antidoto. Anche l’antisionismo maschera l’antisemitismo e altro non è che l’odio contro gli ebrei che ha afflitto la civiltà umana per secoli e per millenni; “un’epidemia globale che abbraccia continenti e società”, come ci ricorda Dani Dayan, presidente dello Yad Vashem. Promuovere insieme alle altre religioni e società del mondo una cultura della tolleranza, e difendere i valori fondamentali di giustizia, uguaglianza e diversità che rafforzano le società libere, deve essere il nostro costante lavoro. Concludo ricordando l’importanza degli Accordi di Abramo che poggiano sui principi e valori del dialogo, della cultura della pace, sulla comprensione reciproca e coesistenza, sul rispetto della dignità umana e delle libertà, inclusa la libertà religiosa».

«Dal 1980, l’impegno internazionale per fare in modo che l’Olocausto fosse non solo ricordato ma soprattutto compreso nella sua portata e complessità, venendo costantemente analizzato, è cresciuta esponenzialmente», ha riferito Bonfrisco. «Il professor Patricelli è uno di quegli importanti storici e il 27 ottobre del 2021 ha ricevuto dal presidente dell’Istituto della Memoria nazionale polacca a Varsavia, il prestigioso premio internazionale “Testimone della storia”. Patricelli appartiene a quella categoria di studiosi, ricercatori e analisti che rivestono il ruolo di consiglieri per la storia di capi di Stato e di Governo e che diffondono la conoscenza storica nelle università, scuole, centri di ricerca e sulla stampa».

«Anche se la frase di Cicerone è seducente, è difficile credere che la storia sia davvero maestra di vita», ha affermato subito Marco Patricelli. «È invece condivisibile quella parte della frase contenuta nel “De oratore”, e solitamente non ricordata, secondo cui la storia è “testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, messaggera del passato”. Oggi la storia ci chiede conto delle forzature, delle distorsioni e delle falsità che derivano dall’uso politico dell’ignoranza del nostro passato e delle strumentalizzazioni ideologiche. Il 27 gennaio, con la rievocazione della liberazione di Auschwitz e la commemorazione delle vittime della Shoah e delle persecuzioni naziste, non è e non può essere solo un esercizio della memoria, o una testimonianza dei tempi. E non perché sono trascorsi quasi otto decenni da quell’avvenimento, e quasi 90 anni dalle Leggi di Norimberga. Se così fosse, dovremmo ammettere che siamo costretti a riconoscere il fallimento di una linea educativa e culturale, ovvero di non aver saputo trasmettere il testimone della storia, con la verità dei fatti e la lezione appresa che ne farebbe veramente una maestra di vita. La cronaca di questi giorni, di queste settimane, ci ammonisce che qualcosa è stato sbagliato, che abbiamo creduto che bastasse ammantare i pregiudizi e gli ideologismi con una verniciata di buoni propositi, per stemperarli in una memoria condivisa senza ombre e senza macchie, travasandoli nella contemporaneità.

«La notte dei cristalli del 9 novembre 1938 in Germania e l’alba del 7 ottobre 2023 in Israele hanno molte differenze sostanziali ma anche diversi punti in comune. Niente di simile era più accaduto dal 27 gennaio 1945, quando la Shoah fu rivelata nella maniera più eclatante e scioccante all’umanità. Quella guerra mondiale che si avviava alla conclusione con la sconfitta del nazismo era diversa da tutte quelle combattute fino al 1939, perché la posta in gioco non era solo il predominio di una nazione sull’altra o su un continente, ma l’affermazione di un sistema politico-ideologico che prevedeva la divisione dell’umanità in due categorie: l’Herrenvolk, la razza ariana che doveva dominare per un  millennio; gli Untermenschen, gli uomini inferiori che dovevano o essere sterminati o ridotti in schiavitù.

«Se non abbiamo imparato questo, non abbiamo capito quello che la storia ha provato a insegnarci oltre l’orrore e le emozioni, oltre la repulsione e il sentimento, oltre l’immediatezza su quello che si riteneva impossibile e incredibile. Tutto questo non era accaduto in un posto selvaggio, arretrato e sperduto, ma nel cuore della civile Europa, nella Germania col più alto numero di Premi Nobel, col più alto livello di istruzione, col più alto numero di medici e di ospedali. Buona parte dei gerarchi nazisti erano laureati in Legge, in Filosofia, in Scienze politiche, in Medicina, quindi erano capaci di distinguere il bene dal male sotto ogni punto di vista. Scelsero il male, e lo scelsero scientificamente, pianificando lo sterminio industriale e applicandolo.

«La questione non è quindi se gli ebrei fucilati, gassati, bruciati nei crematori, furono 6 milioni, di più o di meno. La questione sta tutta nel principio e nel metodo per realizzare quell’idea aberrante di catalizzazione dell’odio verso lo sterminio di massa di innocenti. Il genocidio, appunto. C’è una data della storia, di questa storia, che andrebbe ricordata: il 20 gennaio 1942, la Conferenza di Wannsee voluta da Reinhard Heydrich, l’uomo più pericoloso del Terzo Reich. Il raffinato violinista figlio del compositore e fondatore del conservatorio di Halle era l’anima nera del sistema nazista, principale collaboratore di Heinrich Himmler al vertice delle SS e l’ideatore della Soluzione finale, teorizzata e documentata proprio a Wannsee, quando appena 15 gerarchi tirarono la linea sotto alla somma di tutti gli ebrei europei, che ammontava a 11 milioni, compresi quelli residenti nell’indomita Inghilterra. Heydrich sarà l’unico gerarca di primo piano ucciso dalla resistenza, con l’Operazione Anthropoid del 27 maggio 1942 a Praga.

«Gli inglesi, e gli Alleati, già sapevano quello che accadeva nell’arcipelago concentrazionario nazista. Lo sapevano dal primo rapporto giunto a Londra nel marzo 1941 grazie al capitano polacco di cavalleria Witold Pilecki che si era fatto volontariamente rinchiudere ad Auschwitz per testimoniare l’indicibile e l’incredibile. E infatti non credettero alla sua informativa dettagliata, che oggi sappiamo essere assolutamente fedele ai fatti e agli eventi, e la classificarono come “esagerata”, liquidandola con un timbro burocratico. Né miglior sorte ebbero i suoi successivi rapporti fatti filtrare ogni volta a rischio della propria vita, e le richieste a bombardare le linee ferroviarie che alimentavano la Shoah e a liberare i prigionieri nel lager diventato un simbolo, un monito, una vergogna per l’umanità.

«Non è questa la sede per discutere come e perché le cose andarono così, e neppure se le richieste di Pilecki potessero essere o meno fattibili in quel tempo e in quello scenario: la differenza stava nel fatto che il capitano polacco vedeva ogni giorno quello che accadeva e reclamava pertanto di far cessare al più presto il funzionamento della fabbrica dello sterminio.

«Quella fabbrica si fermò solo il 27 gennaio 1945. Ricordare solo l’avvenimento e la fine di ciò che rappresenta, significa svuotare di contenuti ciò che è accaduto. La Shoah è stata un unicum che non va annacquato, confuso e banalizzato. Come il genocidio. Anche il processo di Norimberga, che cercò di riportare l’affermazione della civiltà giuridica sulla barbarie ideologica, fu un unicum che andava ben oltre l’apparenza della punizione dei vinti da parte dei vincitori. Non si poteva soprassedere sull’accaduto solo perché non esisteva una legge positiva che prevedeva quei mostruosi crimini. Esisteva una legge morale più grande, così come esiste una coscienza per chi sa ascoltarla.

«Blaise Pascal ha scritto che: “La giustizia senza forza è impotente. La forza senza giustizia è tirannia [….occorre quindi che…] Chi è giusto sia forte e chi è forte sia giusto”. Quanto al ruolo della storia, filosoficamente può essere maestra di vita: purché l’uomo sia disposto a imparare dagli errori e dagli orrori, invece di riproporla in forma riveduta e aggiornata. Ma così non è. L’unica maestra di vita è la vita stessa, e di questo dobbiamo portare la testimonianza non solo il 27 gennaio, ma ogni volta che occorre fare della civiltà e dell’umanità il baluardo alla barbarie, che va affrontata e sconfitta ogni giorno con lo stesso impegno, quando l’antisemitismo e l’antisionismo si rigenerano come una delle teste di un’Idra che si nutre dell’incultura e dell’indifferenza, proteiforme nelle manifestazioni, ora subdole ora eclatanti ma sempre pronte ad avvelenare la società agendo sulle menti e sui cuori. Come se nulla fosse mai accaduto».

Bonfrisco ha ricordato le parole del Primo ministro Benjamin Netanyahu: “gli orrori e i massacri inflitti dagli arabo-palestinesi di Hamas il 7 ottobre ci dimostrano che ancor oggi, se avessero avuto i mezzi, ci avrebbero annientati”.

«Lo Stato ebraico di Israele è continuamente minacciato a Nord dai mussulmani sciiti di Hezbollah, un gruppo terroristico di più di 50.000 combattenti, e da Sud dal movimento islamico sciita Houthi, un’altra formazione ideologico militare terrorista con più di 100.000 combattenti radicalizzati», ha poi detto ancora Bonfrisco. «Queste due formazioni insieme ad Hamas e ad altre formazioni terroristiche radicalizzate jihadiste costituisco il “frutto amaro, il gioiello” della politica estera del male dell’Iran, che dichiaratamente vuole l’annichilimento dello Stato ebraico e del sionismo».

Questo per introdurre il collegamento da Gerusalemme con la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein, figlia di Aron (Alberto) Nirenstein, componente di quella che fu la Brigata ebraica, che Churchill e Roosevelt vollero fosse chiaramente identificata come il primo battaglione da combattimento ebreo contro l’esercito nazista. «Dopo il 7 ottobre il mondo è sembrato capire cosa stava accadendo, poi improvvisamente ha seguito la strada dell’antisemitismo», ha spiegato Nirenstein. «Questo giorno della memoria è certamente il più difficile che mi sia stato dato di attraversare. Io qui da Israele vi porto speranza, lacrime e battaglia, durissima che aspetta tutti quelli che intendono combattere l’antisemitismo e mettere in atto lo slogan mai più che non ha funzionato. Dalle 6 di mattina del 7 ottobre quando sono arrivati i missili sul Paese e poi sono entrati gli unni, i barbari a stuprare e mutilare uomini e donne, uccidere bambini e a deportare perché è questo il termine che va usato per le persone portate via dalle loro case e famiglie e tenuti al buio. La shoah è ovviamente incomparabile, ma quell’urlo della folla di Hamas “ebreo-ebreo!” che si è precipitata sulle persone per ucciderle ricorda quella folle ideologia che ha caratterizzato nel secolo scorso il nazismo, il comunismo, l’islamismo estremo, di voler distruggere il popolo ebraico e ferire a morte la democrazia e i diritti umani. Quella di Israele oggi è una battaglia per sopravvivere, lo è anche dell’Europa, degli Stati Uniti e del mondo che desidera la democrazia. È una battaglia durissima, ancora non è stata vinta e lo si vede dal fatto che in tutto il mondo occidentale nelle piazze, nelle università, nei social media viene avanzato il sospetto che Israele sia uno stato colonialista, imperialista, capitalista e adesso secondo le accuse portare alla Corte internazionale di giustizia perfino genocida che è una cosa che spezza il cuore quando si pensa a ciò che noi abbiamo attraversato negli anni. Per battere tutto questo lo sforzo della memoria non è sufficiente: è solo antisemitismo, una costruzione teorica che deve essere smantellata. Tutta la civiltà giudaico-cristiana viene attaccata. Non chiedeteci di smettere di combattere contro Hamas, chiedeteci di dare ai palestinesi quanto più aiuto sotto il profilo umanitario, chiedeteci di svolgere questo compito con la maggiore coscienza come è stato fatto con l’avvertimento della popolazione palestinese, ma non chiedete a Israele di rinunciare a eliminare il potere di Hamas che vuole eliminarci. Per combattere antisemitismo Israele deve essere libera di difendere i suoi cittadini come qualsiasi altro Paese democratico».

L’ambiente italiano ed europeo dell’informazione e della comunicazione strategica identificano narrazioni, pensieri e azioni di odio verso gli ebrei, una piaga continuamente presente nelle nostre società, online e nella realtà, ha poi detto ancora Bonfrisco dando la parola al giornalista Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma. Della Rocca aveva aspramente criticato il rettore dell’università di Cagliari, Francesco Mola, che aveva annunciato che il suo ateneo non avrebbe stipulato nessun nuovo accordo con quelli israeliani e non avrebbe rinnovato le intese scadute.

«Se non ci fosse stata la Tsahal (forze di difesa israeliane, ndr) nel pomeriggio del 7 ottobre, quei 1.200 sterminati, dilaniati, sventrati, quelle donne violentate che potrebbero tornare incinte dai lager dei tunnel di Hamas, sarebbero state 200 mila, metà di Israele, tutto Israele, la volontà di Hamas è di cancellare il popolo ebraico e non solo, per il loro statuto anche tutti gli infedeli. Abbiamo nazioni come l’Iran che tutti i giorni proclamano la distruzione dello Stato di Israele, abbiamo Hamas con il suo statuto, abbiamo la Jihad islamica, abbiamo Hezbollah, il Qatar che finanzia il terrorismo e nel frattempo noi gli diamo i Mondiali di calcio come premio… e li abbiamo dati anche a quel Sudafrica, questo Stato che noi ebrei dovremmo portare alla sbarra per quello che sta facendo perché non dice che il presunto sterminio palestinese è dal 7 ottobre, ma ci informa che questo “genocidio”, il termine mi fa ribrezzo, è partito dal 15 maggio del 1948. Quindi cosa dice il Sudafrica? Che Israele non ha diritto di esistere e che c’è un nuovo “genocidio” e che la Shoah scompare: i 6 milioni di ebrei, per il Sudafrica, non esistono più. Per i problemi interni del National african congress, un partito corrotto con una guida corrotta, il Sudafrica porta i suoi problemi a L’Aja e li scarica sul mondo per difendersi da quello che avviene dentro il Sudafrica. Io credo che quel partito non ha più niente a che fare con quella che era la realtà di Mandela e la giusta lotta contro l’apartheid. Il Sudafrica è uno Stato canaglia e va denunciato, noi ebrei dovremmo portarlo alla sbarra. Israele è un Paese fortemente compatto, ha messo da parte le diatribe interne. Israele è un Paese democratico che avrà la forza, poi, per fare i conti con i propri governanti, ma in questo momento deve cancellare Hamas e il 7 ottobre, deve far vivere anche noi ebrei fuori Israele il 27 gennaio, riportarci a ricordare lo sterminio del popolo ebraico, il genocidio unico. Quello che è accaduto il 7 ottobre è simile: io credo che la volontà fosse proprio quella dei nazi-islamisti di comportarsi né più né meno come le SS. “Allah akbar” mi ricorda molto lo “Juden raus!” che risuonava nei ghetti quando i nazisti portavano gli ebrei nei campi di sterminio. Dobbiamo farci forza tutti assieme e sono rassicuranti le parole del presidente Lopez che dice che il Parlamento europeo farà di tutto per debellare la piaga dell’antisemitismo».

Anna Bonfrisco ha introdotto poi Noemi Di Segni, presidente dell’unione delle Comunità ebraiche italiane. «La dottoressa Di Segni è una grande educatrice e divulgatrice e ci ricorda che un periodo critico nella vita delle persone è la gioventù, quando si forma dentro la coscienza di essere cittadino, di appartenenza sociale, sia verso la famiglia e gli amici che verso lo Stato. La sfida nel “fare Memoria” è di capire insieme ai giovani, alle famiglie, alle comunità ebraiche, alla scuola e agli altri livelli di formazione e di approfondimento, che tutti insieme e ciascuno singolarmente ha un ruolo nell’ascoltare e nel capire quello che accadde ai nostri concittadini ebrei, esclusi, marginalizzati, terrorizzati e criminalizzati dai decenni nazi-fascisti. In particolare, nell’ambiente universitario europeo rischia di insinuarsi, radicarsi e propagarsi una certa complicità con la narrazione di Hamas, negazionisti dell’Olocausto e con la chiara volontà di distorcere la storia e la memoria, una minaccia ibrida che chiamiamo disinformazione. Nell’attenzione che dobbiamo porre al male che una tale insinuazione genera, facciamo il più grande investimento per le nostre società, rendendole più resilienti, veramente democratiche, che rispettano lo stato di diritto e garantiscono le libertà individuali, inclusa la libertà religiosa».

«Queste settimane dal 7 ottobre sono state settimane che posso definire il tempo del ribaltamento», ha detto Di Segni. «Ribaltamento delle verità, delle libertà e dei ruoli. La verità di quello che è accaduto nella Shoah l’ascoltiamo in questi giorni e capiamo cosa significa negarla, banalizzarla o ridicolizzarla. Tutto quello che è verità della Shoah è negato, quello che è verità del 7 ottobre è negato, quello che è falsità della Shoah è giusto e quello che è falsità su come si comporta Israele dopo il 7 ottobre è verità assoluta, che guida le decisioni anche dell’Onu. Io non posso girare con i simboli di Israele perché è pericoloso per la vita, ma chi vuole esplicitare un pensiero di nostalgia fascista lo può fare ancora tranquillamente. A Vicenza i centri sociali possono rivendicare un pensiero squadrista di contestazione verso Israele. Le vittime, i perseguitati, i sopravvissuti della Shoah, Israele, gli ebrei sono i nazisti, gli altri sono liberatori della patria e dei diritti, combattenti come i “nostri” partigiani durante la guerra, compresa la Brigata ebraica, che ci hanno liberati dal nazifascismo. Non tutta Italia è imbevuta di cecità e demenza: c’è chi è attento al giorno della memoria con serietà e coerenza, come il capo dello Stato e anche la presidenza del consiglio, con la quale ci siamo confrontati per accreditare gli eventi del giorno della memoria, evitando quelli distorti anche di alcune università. L’abuso del giorno della memoria in alcuni contesti genera solo distorsioni, non favorisce nemmeno i palestinesi: non si arriva a risolvere il problema dicendo che i nazisti siamo noi ebrei. Non ci sono gli strumenti utili di diplomazia, si butta tutto in una mischia di parole e si distoglie lo sguardo dalla vera responsabilità che, in Italia, è quella del fascismo. Si genera odio e antisemitismo e, soprattutto, si offendono persone. I tre pilastri della strategia dell’Unione europea per affrontare i temi dell’antisemitismo fino al 2030 sono il sostegno alla vita ebraica, la lotta all’antisemitismo, la memoria della Shoah. L’Unione europea, con le complessità e i limiti delle prossime elezioni, ha dimostrato più capacità e lucidità rispetto alle Nazioni unite. Faccio un vero appello al governo italiano per riflettere su come devono lavorare le Nazioni unite».

Anna Bonfrisco ha ripreso la parola per introdurre Pasquale Angelosanto, coordinatore nazionale per la lotta all’antisemitismo. «L’Italia è una nazione forte, europeista e atlantista. Il ruolo del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo è stato istituito presso la presidenza del consiglio dei ministri nel gennaio 2020 a seguito della Risoluzione del 1° giugno 2017 sulla lotta contro l’antisemitismo del Parlamento europeo. Come ci ha ricordato Mario Draghi, “ricordare non è un atto passivo: è un impegno per il presente. Dobbiamo agire sulle radici profonde del razzismo e dell’antisemitismo e contrastare le loro manifestazioni violente, arginare ogni forma di negazionismo. Esse sono una minaccia al nostro vivere civile, alla nostra libertà”. Le istituzioni italiane sono impegnate nel contrasto all’antisemitismo e trovano nella persona del generale Angelosanto un coordinamento efficace, capace, etico e di buon governo, di quello che è un valore, un principio e un bene pubblico: la libertà dall’indifferenza e dalla corruzione delle coscienze».

«L’aspetto qualificante dell’attività del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo è riportato in un documento definito “Strategia nazionale di lotta all’antisemitismo” elaborato nel 2021 sulla base di rilevazioni fatte nel 2020 e che ha fatto propria la definizione di antisemitismo approvata dall’Alleanza internazionale della memoria dell’Olocausto. Qui sono contenuti i compiti del coordinatore che deve promuovere le iniziative, coordinare le varie amministrazioni e gli enti interessati. L’aspetto importante, oggi, è che la presidenza del consiglio mi ha incaricato di aggiornare questo documento, anche secondo le attese dell’Ucei-Unione delle Comunità ebraiche italiane, per l’aumento dei casi di semitismo in Italia a seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Il Coordinatore deve raccordarsi con le comunità ebraiche per proteggere la vita sociale, culturale e religiosa in termini di sicurezza e nell’ambito della più ampia strategia europea. In Europa sono accaduti episodi sui quali indagare e non solo inquadrabili nell’antisemitismo, ma proprio attentati contro siti ebraici o persone: alla scuola ebraica di Tolosa nel 2012, al museo ebraico di Bruxelles nel 2014, all’Hypercacher di Parigi nel 2015 e alla sinagoga di Halle nel 2019. I primi tre ascrivibili a terrorismo islamico, il quarto ha matrice neonazista. Un altro aspetto rilevante riportato nelle risoluzioni del Parlamento europeo è l’affermazione che combattere l’antisemitismo è responsabilità dell’intera società. Da generale dell’Arma dei carabinieri, sento di dover intervenire sull’episodio storico del carabiniere Abramo Rossi: per anni è stato misconosciuto e riguarda la deportazione di oltre duemila carabinieri, scientificamente pianificata dai nazifascisti il 7 ottobre del 1943. Quando feci una ricerca trovai che l’ordine del disarmo era stato impartito dal generale Rodolfo Graziani che era ministro della Difesa della Repubblica sociale. Però era provenuto direttamente da Benito Mussolini che aveva definito più volte l’Arma come “dinastica” per sottolinearne la distanza dal fascismo e la vicinanza al re. Il disarmo dei carabinieri era funzionale alla possibilità di deportare gli ebrei. Di quei duemila e più carabinieri 600 non fecero ritorno. Questa storia è stata raccontata dal giornalista Maurizio Piccirilli nel libro “Carabinieri Kaputt! I giorni dell’infamia e del tradimento”. L’aver portato a conoscenza dei più quest’episodio, ha significato diffondere la conoscenza e, come afferma la Commissione europea, nella strategia richiamata in precedenza “la conoscenza della vita ebraica e dell’antisemitismo in Europa nel corso dei secoli e dell’impatto dell’Olocausto sul popolo ebraico è essenziale per comprendere l’antisemitismo oggi e per fare in modo che tali atrocità non si ripetano mai più”».

I video degli interventi sono disponibili sul canale YouTube di Anna Cinzia Bonfrisco: https://www.youtube.com/@annacinziabonfrisco2468.

Nella foto: il più grande campo di concentramento femminile presente in Germania, Ravensbrück 1945. Fotografia inviata dal Museo della Seconda guerra mondiale del fiume Po – Musei Regione Lombardia, e già utilizzata in una mostra fotografica sulla Shoah, donata da Romano Rossi della Association Jewish Brigade. È stata utilizzata per la locandina della presente commemorazione.

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