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Public diplomacyL’Artico conteso e il cambiamento climatico

03/05/2021
Esperti e politici a confronto. Così “fotografa” Anna Bonfrisco: “L’Unione Europea deve sviluppare una missione che manifesti una presenza di influenza permanente oppure un ruolo da moderatore per salvaguardare gli interessi globali”.

L’Artico è la nuova arena di importanza geostrategica e di rivalità tra le potenze. È da tempo zona di pace e cooperazione internazionale, di bassa tensione, ma gli effetti del cambiamento climatico, qui percepiti più rapidamente (il 75% del volume dei ghiacci dell’Oceano artico si è ridotto dal 1979 al 2019), stanno causando rapidi mutamenti a livello politico, economico e di sicurezza. Negli ultimi anni è apparso chiaro che esiste una relazione diretta tra la geopolitica, la sicurezza dell’Artico e la sua situazione ambientale, che a sua volta è fortemente influenzata dalle conseguenze dei comportamenti umani in altre aree del pianeta. E viceversa.

I cambiamenti nel panorama naturale dell’Artico si traducono anche in opportunità economiche. C’è un nuovo e crescente interesse per le sue risorse naturali e per le rotte marittime che potrebbero aprirsi a causa dello scioglimento dei ghiacci. L’elevato seguito mediatico per le elezioni tenutesi in Groenlandia la scorsa settimana è un chiaro segno di questo interesse.

“L’Artico è la regione chiave per la salute dell’umanità. Sull’Artico si incrociano dinamiche globali: Russia e Cina vogliono sfruttarne risorse rare e preziose come uranio, gas e petrolio. Ascoltare gli esperti in audizione al Parlamento rende bene l’idea della minaccia russa e cinese”, ribadisce l’europarlamentare Anna Cinzia Bonfrisco (Lega).

Quattro esperti e l’inviato speciale UE per questioni artiche hanno fornito al parlamento tutte le informazioni per valutare la situazione (https://multimedia.europarl.europa.eu/en/committee-on-foreign-affairs_20210413-1645-COMMITTEE-AFET_vd).

Elana Wilson Rowe del Norwegian Institute of International affairs, ha giudicato che la governance dell’Artico è adeguata alle sfide future. “Ma solo se il formato esistente continua a espandersi e a intensificare i propri sforzi per affrontare le nuove sfide. È necessario qualcosa di più del mantenimento dello status quo e il lavoro diplomatico tranquillo e il governo quotidiano richiedono risorse e incoraggiamento. È stato sviluppato un solido quadro di governance che ha compreso tensioni e problemi più ampi nella politica globale. Il cambiamento della natura fisica ha anche innescato la leadership sulla governance cooperativa, non solo sulla rivalità geopolitica”.

Il Contrammiraglio della Marina danese, Amministratore delegato del Naval Team Denmark, Nils Wang, si è concentrato sulla distribuzione delle risorse dell’Artico. “Poiché si trovano per il 75% già nelle mani dei Paesi che ne hanno diritto, gli attriti sono forse ingigantiti e le controversie riguardano comunque i confini della piattaforma continentale esterna, oltre le 200 miglia nautiche, in particolare tra Russia e Danimarca. In Groenlandia si trovano ampi giacimenti di metalli rari, in particolare uranio. La questione spaccava in due l’opinione pubblica e alle elezioni ha vinto il partito che ha adottato una linea ferma sulla decisione di non sfruttare questa risorsa. Cina e Stati Uniti sono rivali sullo sfruttamento di questa risorsa. Ma questa disputa rappresenta forse una buona opportunità per stringere un partenariato con l’Unione Europea, visto che queste risorse sono importanti anche per l’industria europea. Nell’Artico i cinesi hanno fatto quello che fanno ovunque dove gli Stati Uniti non esercitano una forte presenza. Russia e Norvegia si sono in accordate sullo sfruttamento in particolare del petrolio. La ricerca delle risorse è un’opportunità economica, ma non si esclude il rischio che possa sfociare in rivalità più sentite”.

Rebecca Pincus, assistente presso il Dipartimento di ricerca strategica e operativa (SORD) presso il Center for Naval Warfare Studies presso il US Naval War College e Arctic Strategy Advisor presso l’Ufficio del Segretario della Difesa degli Stati Uniti, ha dedicato il suo intervento a spiegare come gestire le minacce militari nell’Artico. Ha spiegato l’importanza delle due rotte di navigazione nella regione artica (passaggio a Nord-Ovest e del mare settentrionale) di una terza (transpolare) che sarà aperta forse a fine secolo. La Russia ha investito molto sulla rotta del mare settentrionale e spinge per la rotta Transpolare. “La libertà di navigazione anche nell’Artico è sancita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, non ratificata dagli Stati Uniti, che tuttavia sono molto attivi per garantirla. Gli Stati Uniti ritengono che le rivendicazioni di Canada e Russia nel mare Artico, rispettivamente sul passaggio a Nord-Ovest e la rotta del mare settentrionale come acque interne, siano eccessive. La Russia ha rafforzato i controlli e introdotto alcune limitazioni al passaggio di navi commerciali e militari. Gli Stati Uniti hanno inoltrato una nota diplomatica, ma non hanno agito per la libertà della navigazione. Ci sono sfide importanti anche per la tutela dell’ambiente marino e per la sicurezza delle persone. Il Consiglio artico è attivo per garantire la sicurezza nella zona, c’è un coordinamento delle otto guardie costiere. L’aumento delle attività e del turismo comportano rischi importanti per le comunità che vivono e per l’ambiente e questo complica la situazione rispetto al cambiamento climatico e agli ecosistemi.

Il professor Julian Lindley-French, Presidente del Gruppo Alphen, membro anziano dell’Institute for Statecraft e autore di “Future War and the Defense of Europe”, ha affrontato l’aspetto militare. “La UE non deve illudersi perché è reale il rischio di un controllo militare di Cina e Russia che sarebbe uno scontro tra multilateralismo e realpolitik. L’Artico è importante in campo geopolitico e non bisogna sbagliare: il controllo dell’Artico potrebbe comportare anche il controllo dell’Europa. Non vogliamo creare una profezia militare che si autoavvera. La UE è anche potenza civile e strategica autonoma e può contribuire alla stabilità e alla pace nell’Artico in maniera specifica, ma l’incapacità di affrontare le sfide potrebbe portare tensioni altrove. Per il bene dell’Europa e della sicurezza dell’Artico, la Ue dovrebbe coordinarsi con Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia, agendo da onesto mediatore per impedire la militarizzazione strisciante e promuovendo invece il diritto internazionale, in collaborazione con il Consiglio Artico e l’Onu. L’Ue deve promuovere la ricerca sul cambiamento climatico e il benessere degli abitanti della regione. L’Artico sta diventando una regione sempre più contestata in cui nel caso peggiore la guerra potrebbe non essere esclusa nei prossimi 15-20 anni. Gli europei non sono bene equipaggiati per affrontare una guerra di questa tipo quindi la responsabilità ricadrebbe sulla NATO. UE dovrebbe essere in prima linea negli sforzi per sostenere un approccio istituzionale alla risoluzione delle vertenze, rafforzando i meccanismi di governance. La Russia ha alcuni diritti nell’Artico che devono essere rispettati, per la Cina l’Artico è interesse per calmare il proprio appetito di sicurezza energetica. Potendo negare alle potenze occidentali le terre rare dell’Artico, Pechino eserciterebbe un effetto coercitivo sugli stati occidentali, la Russia potrebbe estendere la propria forza nell’Atlantico. Quindi non c’entra solo l’Artico, ma la sua estensione più ampia. L’Europa non deve cercare di controllare l’Artico, ma nessuno altro deve controllare l’Artico. Deve essere determinata a garantire che l’Artico resti bene globale, affrontando anche la dimensione militare”.

“La comunità scientifica internazionale e in particolare quella italiana, attraverso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ci permette di conoscere meglio gli stress che subisce la zona fondamentale per regolare il clima terrestre, ma anche ci permette di conoscere le popolazioni che abitano l’Artide e i radicali cambiamenti climatici e degli ecosistemi che sono in atto”, ha dichiarato Bonfrisco durante il suo intervento.

L’Italia ha una storia ultracentenaria in Artico, risalente almeno alla spedizione del Duca degli Abruzzi del 1899 e alle missioni di Umberto Nobile del 1926 e del 1928. Il contributo italiano alla ricerca in Artico, assieme all’interesse economico di alcune importanti imprese (ENI, e-Geos, Fincantieri), ha costituito la base della richiesta formulata al Consiglio Artico per ottenere lo status di Paese osservatore, accettata nel 2013. La validità dell’apporto dell’Italia al Consiglio Artico deriva un approccio corale che valorizza il contributo di Ministeri (MATTM, MiSE, MIUR, Difesa attraverso la Marina Militare per il tramite dell’Istituto Idrografico della Marina), enti di ricerca (in particolare CNR, ENEA, INGV e OGS), Università ed istituti di formazione, nonché delle principali imprese italiane interessate all’Artico (https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/aree_geografiche/europa/artico).

Ancora Bonfrisco: “Ho sentito analisi lucide e preoccupanti che suonano come un monito per noi legislatori che siamo all’intersezione tra i dati scientifici e le politiche di contrasto, adattamento e mitigazione dei cambiamenti. Ecco, è innanzi tutto la dignità dell’Artico che ci ricorda come dobbiamo sviluppare un approccio d’insieme. Vorrei ricordare anch’io l’autorevolezza del Consiglio Artico, che promuove la pace e la cooperazione dell’Artide e che quest’anno compie 25 anni. L’Unione Europea deve sviluppare una missione che manifesti una presenza di influenza permanente oppure un ruolo da moderatore per salvaguardare gli interessi globali”. VIDEO

“Dal 2013 Ue ha ruolo di osservatore de facto anche se non de jure del Consiglio Artico”, ha risposto Michael Mann, inviato speciale dell’UE per le questioni artiche: “La Russia prenderà la presidenza del Consiglio Artico a maggio e ha un programma ambizioso che parla di sviluppo sostenibile e di diritti delle popolazioni indigene. Penso che in Russia si sia arrivati alla conclusione che il cambiamento climatico è problema da affrontare, per esempio il cambiamento del permafrost potrebbe causare danni alle infrastrutture. Cosa possiamo fare noi? UE è leader mondiale che sta portando avanti la campagna per combattere il cambiamento climatico e l’obiettivo della neutralità delle emissioni di anidride carbonica del 2050 è sulla bocca di tutti nel mondo ed è positivo avere alleati a Washington in questo senso. Fra gli Stati artici c’è forte convinzione che il cambiamento climatico debba essere affrontato prima possibile. Si deve lavorare anche per la ricerca e lo sviluppo in Artico per mitigarne gli effetti: la spedizione Mosaic fornisce risultati preliminari che però già indicano cosa si debba fare. Anche a livello di Quadro finanziario pluriennale. I test delle tecnologie verdi che si fanno qui potrebbe essere esportati altrove. I sistemi satellitari europei sono punta di diamante e motivo di orgoglio. Dobbiamo concentrarci sugli effetti sul permafrost e sulle regioni più esterne e un valido sistema satellitare potrebbe aiutare: in occasione di alcune catastrofi naturali abbiamo potuto seguire quello che è accaduto e si tratta di informazioni utili. La commissione sulla biodiversità costituisce una possibilità per l’Unione di forzare la mano. Alcune comunità stanno perdendo le proprie fonti di sostentamento tradizionali a causa dello scioglimento dei ghiacciai. È importante fornire nuove prospettive e futuro a queste persone. La UE è attiva, presente e visibile nell’Artico? Sì, ho potuto vedere, per esempio, un continuo viavai di scienziati”. 

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